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Principio della proporzionalità della retribuzione

Il principio della retribuzione proporzionata alla qualità e alla qualità del lavoro svolto è sancito dall’art. 36 della Costituzione, tale risultato è perseguibile dalla contrattazione collettiva.

Proporzionalità della retribuzione nella Costituzione

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A sancire il principio di proporzionalità della retribuzione è l’articolo 36 della Costituzione che al comma 1 così dispone: “1. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.”

Da un’attenta lettura della norma si ricava in realtà che la norma contiene il principio della sufficienza della retribuzione. Essa infatti non deve essere solo proporzionata al lavoro svolto, ma deve essere in grado di garantire sia lavoratore chiama sua famiglia condizioni di vita dignitose.

Ovviamente la garanzia prevista dall’art. 36 della Costituzione si riferisce alla retribuzione proporzionale così come stabilita dalle parti sociali in sede di contrattazione collettiva. Retribuzione che, come definita dall’art. 2099 del codice civile, non si compone solo della paga base, ma anche di attribuzioni ulteriori di tipo accessorio che si vanno ad aggiungere, senza dimenticare l’adeguamento della stessa al costo della vita attraverso l’applicazione di particolari indici. Retribuzione che infine, per completezza, può essere inoltre calcolata a tempo, a cottimo, attraverso la partecipazione agli utili e a premio.

Normativa sovranazionale sulla proporzionalità

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Di sancire la proporzionalità della retribuzione si occupa anche la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo del 1948, il cui art. 23, al comma 3 recita: “Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.

Principio espresso con parole diverse dall’art. 31 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose.”

Proporzionalità della retribuzione nella giurisprudenza

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Da quanto detto finora emerge chiaramente che la retribuzione non viene definita dalla legge per le varie categorie di lavoratori. Essa è soprattutto il frutto della contrattazione tra le varie parti sociali interessate. Questo vuoto normativo ha determinato, da parte della giurisprudenza, l’assunzione di un ruolo nomofilattico integrativo, come emerge anche da diverse e recenti pronunce della Cassazione.

Le indennità di fine rapporto pagate a rate non violano l’art. 36

La Consulta nella sentenza n. 159/2019 è chiamata a pronunciarsi sulla illegittimità costituzionale, per violazione del principio di proporzionalità sancito dall’art. 36 della Costituzione, dell’art. 3, comma 2, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79 convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui dispongono il pagamento differito e rateale dei trattamenti di fine servizio spettanti ai dipendenti pubblici.

nella motivazione della sentenza la Consulta spiega che “Il carattere di retribuzione differita, comune a tali indennità, le attira nella sfera dell’art. 36 Cost., che prescrive, per ogni forma di trattamento retributivo, la proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e l’idoneità a garantire, in ogni caso, un’esistenza libera e dignitosa (…) Le scelte discrezionali adottate in tale àmbito dal legislatore, anche in un’ottica di salvaguardia della sostenibilità del sistema previdenziale, non possono tuttavia sacrificare in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti tutelati dagli artt. 36 e 38 Cost. Nel caso di specie, i limiti posti dai princìpi di ragionevolezza e di proporzione (però) non sono stati valicati. Il termine di ventiquattro mesi per l’erogazione dei trattamenti di fine servizio, nelle ipotesi diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio, è stato introdotto già dall’art. 1, comma 22, lettera a), del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni nella legge 14 settembre 2011, n. 148. L’intervento del legislatore travalica l’obiettivo contingente di conseguire immediati e cospicui risparmi, puntualmente stimati dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 138 del 2011, e si raccorda, in una prospettiva di più ampio respiro, a una consolidata linea direttrice della legislazione, che si ripromette di scoraggiare le cessazioni del rapporto di lavoro in un momento antecedente al raggiungimento dei limiti di età o di servizio. La misura restrittiva in esame si colloca dunque in una congiuntura di grave emergenza economica e finanziaria, che registra un numero cospicuo di pensionamenti in un momento anteriore al raggiungimento dei limiti massimi di età o di servizio.”

Emolumenti accessori a chi svolge mansioni superiori

La Cassazione n. 19772/2022 di recente ha anche ribadito che la Sez. U n. 3814/2011 ha stabilito che “In caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost., la corresponsione dell’intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori” (conforme Cass. n. 9878/2017).

Retribuzione proporzionata anche per i soci delle cooperative

Merita di essere menzionata la Cassazione n. 17698/2022, per la seguente articolata precisazione: “il D.L. 248/2007, convertito in L. 31/2008, che, all’art. 7 comma 4, ha previsto: – Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria. Detti trattamenti fungono, dunque, da parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo rispetto ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost., di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative; il fatto che, nel tempo, sia stata attribuita alla contrattazione collettiva, nel settore privato e poi anche nel settore pubblico, il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia costituzionale di cui all’art. 36 Cost., non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la previsione del salario minimo legale (suggerito dall’Organizzazione internazionale del lavoro – OIL, come politica per garantire una «giusta retribuzione»), oppure, come avvenuto nella materia in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva.

L’attuazione per via legislativa dell’art. 36 Cost., nella perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost., non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti (cfr. Corte Cost. 51/2015). 14. La legge 31/2008, art. 7, presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito («in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria») e attribuisce riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti degli interessi collettivi più coerenti col criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria.

Come si legge nella sentenza della Corte Cost. n. 51 del 2015, «nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato (D.L. n. 248 del 2007, art. 7 ndr.) si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative» (in tal senso anche Cass. 17583/2014; 19832/2013) Dall’assetto come ricostruito non deriva alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale. La scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/890-principio-della-proporzionalita-della-retribuzione.asp
(www.StudioCataldi.it)