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Giustizia riparativa

La giustizia riparativa punta sulla partecipazione attiva della vittima, del reo e della stessa comunità. In arrivo la disciplina organica grazie riforma del processo penale, di cui è pronto lo schema del decreto attuativo.

Cos’è la giustizia riparativa

Quando si parla di giustizia riparativa o rigenerativa (restorative justice in inglese) si fa riferimento a un paradigma di giustizia nato dal bisogno di un procedimento diverso rispetto a quello tradizionale dove la vittima assume un ruolo marginale e ad essere messo al centro dell’attenzione è l’autore del reato.

La restorative justice, infatti, punta sulla partecipazione attiva della vittima, del reo e della stessa comunità civile. In sostanza, anziché delegare allo Stato, sono gli stessi attori del reato a occuparsi di ovviare alle conseguenze del conflitto occupandosi della riparazione, della ricostruzione e della riconciliazione, con l’obiettivo non di punire, ma di rimuovere le conseguenze del reato attraverso l’incontro tra le parti e con l’assistenza di un mediatore terzo e imparziale.

Le prime teorie, originate dalla crisi del sistema penale, si sono diffuse in Nord America grazie a movimenti sperimentali che ricercavano una soluzione alternativa alla pena carceraria. Difficile racchiudere la giustizia riparativa nel perimetro di una definizione univoca.

In ambito comunitario è la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che fornisce una definizione di giustizia riparativa come: “qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.”

L’obiettivo finale di questa prassi alternativa è dunque quello di guidare le parti, che vi abbiano volontariamente aderito, verso la risoluzione del conflitto e alla ricerca concorde di un’azione che funga da soluzione.

Dalla riparazione della relazione “infranta” dall’illecito ne giovano sia il reo, che dimostra di essere più del solo autore della condotta lesiva, sia la vittima, che potrà far emergere le proprie emozioni e mettere in chiaro i propri bisogni e interessi, sia in ultima battuta la stessa comunità sociale, in quanto viene risanata quella “frattura sociale” determinata dalla fiducia incrinata dal reo e dalla rottura di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi.

Giustizia riparativa in Italia: la disciplina organica

In attuazione della Direttiva 29/2012, l’Italia ha adottato il decreto legislativo 112/2015 che, pur integrando con specifiche, mirate, disposizioni, il quadro di tutele che già il nostro ordinamento processuale penale assicurava alle vittime del reato in tema di tema di informazione e partecipazione al processo non ha, tuttavia, dettato specifiche disposizioni in materia di giustizia riparativa.

E’ stata la legge n. 134/2021 (di riforma del processo penale) a tracciare le linee guida dell’importante percorso della giustizia riparativa. Ad agosto 2022 poi ha visto la luce il primo schema di decreto che attua la legge delega, che dedica alla giustizia riparativa il titolo IV del testo, composto dagli artt. 42 – 67, raggruppati nelle seguenti sezioni:

  • definizioni, principi e obiettivi;
  • accesso ai programmi di giustizia riparativa;
  • persone minori di eta;
  • disposizioni in materia di diritti dei partecipanti;
  • doveri e garanzie dei mediatori e dei partecipanti;
  • programmi di giustizia riparativa;
  • valutazione dell’autorità giudiziaria;
  • formazione dei mediatori esperti;
  • requisiti per l’esercizio dell’attività;
  • coordinamento dei servizi e livelli essenziali delle prestazioni;
  • centri di giustizia riparativa.

Da segnalate l’art. 42 perché contiene la definizione della giustizia riparativa: “ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa e ad altri soggetti appartenenti alla comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore.”

La mediazione penale

Negli ultimi anni, il modello maggiormente compiuto di giustizia riparativa quale modalità di risoluzione dei conflitti è stato però rappresentato dalla c.d. mediazione penale della cui definizione si occupa la Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 19/99, ovvero la fonte più importante e specifica riguardante questo strumento di risoluzione.

Tale procedimento “permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto di un terzo indipendente (mediatore)”.

Per avviare la mediazione penale, dunque, si rende necessario il consenso delle parti affinché la loro interazione conflittuale si spinga al punto da ricercare un accordo soddisfacente per entrambe risolutivo del conflitto. Necessaria all’uopo l’assistenza di un mediatore, terzo e neutrale, il quale promuova e agevoli l’attività di facilitazione usualmente nel rispetto di rigidi schemi e particolari standard.

L’obiettivo principale del procedimento, dunque, è quello di raggiungere un accordo tra le parti, senza che a decidere il giudizio sia una sentenza. Ricorrendo alla mediazione, senza i traumi che un procedimento penale necessariamente implica tra le pari, si possono raggiungere soluzioni in tempi indubbiamente più rapidi rispetto a quelli del processo e si possono trovare accordi validi e soddisfacenti per ambo le parti.

In tal modo, inoltre, si evitano non solo i rischi connessi al processo e al suo esito, ma si affrontano costi estremamente ridotti. Gli attori principali, la vittima e il reo, si “riappropriano” del proprio ruolo e il dialogo tra loro viene assicurato da una specifica figura professionale quale quella del mediatore.

La figura del mediatore

Per raggiungere gli obiettivi peculiari della mediazione penale, appare evidente il ruolo fondamentale assunto dal mediatore, ovvero un soggetto che ha il compito di “ricostruire una connessione” interrotta, facendo superare alla persona offesa dal reato la diffidenza nei confronti dell’autore, e promuovendo l’incontro in un ambiente di incontro e confronto dove entrambe le parti hanno pari diritti e doveri.

Il mediatore è una figura terza, imparziale, equiprossima alle parti e, pertanto, dovrà essere, in primis, un professionista con un’adeguata formazione specialistica in materia di gestione e risoluzione dei conflitti poiché si troverà a gestire la comunicazione tra due parti fortemente antagoniste

Il linguaggio del mediatore, infatti, è ben diverso da quello di giudici e avvocati e deve puntare al raggiungimento di una possibilità alternativa rispetto a quella offerta dalla aule giudiziarie.

Jacqueline Morineau, fondatrice del CMFM (Centre de Médiation et de Formation à la Médiation) descrive il mediatore con una metafora, quale “specchio che accoglie le emozioni dei protagonisti, per rifletterle“. Pertanto, per la Morineau il lavoro del mediatore è caratterizzato da accoglienza ed empatia.

La mediazione penale in Italia

Negli ultimi anni è emersa una maggiore attenzione per la giustizia riparativa, come dimostra la recente legge di riforma del processo penale menzionata e il recentissimo schema di decreto attuativo, complici anche le continue spinte in tal senso da parte delle disposizioni comunitarie e internazionali.

Nel nostro paese, infatti, vige il principio della “obbligatorietà dell’azione penale”, ma in alcuni settori è stato possibile lo sviluppo di un sistema di mediazione.

Il merito è anche delle singole realtà in cui la comunità ha ritenuto di spronare la partecipazione del minore, con l’ausilio di operatori specializzati, associazioni e organismi di volontariato, all’incontro con la vittima, affinché questi fosse in grado di comprendere il significato della propria azione e venga sollecitato a riparare con attività di volontariato alle proprie azioni responsabilizzandosi.

Mediazione penale in ambito minorile

In attesa di una disciplina organica definitiva, il cui processo è già in corso, nel nostro paese, negli ultimi anni, si sono comunque realizzate forme di giustizia riparativa. Negli ultimi decenni, la mediazione penale ha trovato applicazione nel procedimento minorile grazie al D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448 (Codice processo penale minorile): gli spazi normativi nei quali si realizzano maggiormente le esperienze di mediazione sono quelli di cui agli artt. 9, 27 e 28 del d.P.R. ovvero l’ambito delle indagini preliminare, durante l’udienza preliminare o nel dibattimento, nell’attuazione della sospensione del processo e della messa alla prova.

Il procedimento penale minorile, infatti, è fortemente improntato alla rieducazione, a responsabilizzare e a determinare la crescita e la maturità del minore autore di reato affinché costruisca un’identità consapevole nelle relazioni. La mediazione, dunque, si rivela uno strumento per valorizzare tali finalità e, al contempo, dà voce alla vittima e alla dignità del suo dolore affinché sia garantita un’equa riparazione che, a sua volta, determina una riappacificazione sociale con l’autore.

I giovani autori del reato, infatti, sono invitati a riflettere e a scegliere di riparare la frattura provocata dalle proprie azioni, assumendosi le proprie responsabilità, e intraprendendo un percorso motivazionale teso al cambiamento dopo aver riconosciuto il disvalore delle proprie azioni: l’incontro e la riflessione conducono a un concreto impegno responsabile volto a comporre il conflitto generato dal reato.

Un documento curato dall’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile intende la mediazione penale minorile come “attività intrapresa da un terzo neutrale al fine di ricomporre un conflitto fra due parti (…) attraverso la riparazione del danno alla vittima o la riconciliazione fra vittima e autore del reato”. Per attività riparatoria può intendersi anche una riparazione che prescinde dal risarcimento del danno in senso stretto privilegiandone, invece, gli aspetti simbolici.

Particolare risalto è conferito particolare alla “terzietà” del mediatore, equi-prossimo rispetto alle parti in causa, che, lungi dallo svolgere una funzione giudicante, faciliterà uno scambio improntato all’ascolto delle reciproche ragioni in uno spazio (sia fisico che temporale) finalizzato a ristabilire un ordine che risulti condiviso, contrattato fra le parti in causa anziché sovra-determinato.

In ambito minorile, la mediazione penale consente di raggiungere diversi obiettivi: stimola l’autore del reato al confronto con la conseguenza delle proprie azioni e gli permette di “riparare”; dà voce alla “vittima” consentendo di sviluppare un dialogo chiarificatore e di instaurare un nuovo tipo di relazione superando gli ostacoli normalmente interposti con il reo (paura, rancore, diffidenza, ecc.); promuove nella società nuovi modelli e valori atti a superare la contrapposizione ideologica e morale fra reo e vittima, e ad avvicinare maggiormente la comunità al problema della gestione della devianza.

Mediazione penale davanti al giudice di pace

La sperimentazione avviata nell’area minorile ha avuto ripercussioni anche in altri ambiti come dimostra l’introduzione nel procedimento innanzi al Giudice di Pace. In particolare, il d.lgs. 274/2000 (recante “Disposizioni in materia di competenza penale del Giudice di Pace”) è stato fondamentale nel passaggio da una giustizia rigidamente e rigorosamente retributiva, a una giustizia che riesce anche ad essere più vicina alle parti, a ricomporre le distanze e a risolvere i conflitti.

L’intervento del legislatore promuove una nuova strategia di gestione del reato. Infatti, nella relazione al d.lgs. 274/2000, il Ministero della Giustizia ha sottolineato l’importanza della “valorizzazione della conciliazione tra le parti come strumento privilegiato di risoluzione dei conflitti”.

L’art. 29 del provvedimento, difatti, consente al Giudice di Pace, quando il reato è perseguibile a querela, di promuovere la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio.

Alla conciliazione è dato ampio spazio poiché il Giudice di Pace è competente (per materia) per molti di quei reati c.d. bagatellari, procedibili proprio a querela di parte, in cui viene in rilievo una microconflittualità fra privati e che spesso non vede coinvolti interessi collettivi e, tuttavia, perdura per diversi anni.

Per questo il legislatore ha inteso favorire per quanto possibile il riavvicinamento tra le parti richiedendo al Giudice di Pace di promuovere non solo la riconciliazione, ma anche la riparazione e il risarcimento del danno. In tal modo, ove l’autore del reato si attivi per eliminare le conseguenze dannose del reato, dimostrando di aver proceduto alla riparazione del danno cagionato, sarà consentito al Giudice di Pace anche archiviare il procedimento o pronunciare una sentenza di proscioglimento (ex art. 35 del d.lgs. 274/2000).

Il Giudice onorario si colloca, in tal modo, quale punto di riferimento per un sistema di mediazione-riparazione atto ad assicurare la negoziazione e la gestione dei conflitti che si affianca alla giustizia formale una giustizia fondata sul consenso degli interessati.

Fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/31602-la-giustizia-riparativa.asp
(www.StudioCataldi.it)